Una storia emozionante, a tratti difficile da raccontare, ma che racchiude fortissimi gioie ed emozioni. Dall’Argentina all’Italia, sfuggito al regime dittatoriale e violento di Jorge Videla. Quel lungo viaggio in Sicilia alla guida del suo primo club italiano (Jesi) e la sosta-relax nei magnifici giardini di Catania nel lontano 15 ottobre 1983. Julio Velasco (il nome una garanzia) inizia a muovere i suoi primi passi a La Plata, in Argentina. Comincia a giocare a pallavolo e ad allenare le selezioni giovanili durante la sua frequenza al Liceo Nacional. Negli anni vissuti alla Facoltà di Filosofia. Università che fu presto costretto ad abbandonare (con 6 esami rimasti alla laurea) a causa della repressione dei militari golpisti sugli studenti antifascisti.
All’università venne tolto a Velasco il ruolo di precettore (assistente specialistico in affiancamento ai docenti) in quanto l’ultra-destra decise di rimpiazzare tale figura con militanti della destra più estrema. L’adesione per alcuni anni al Partito Comunista Argentino condizionò assai l’adolescenza e il cammino di Velasco.
Una sorta di “discontinuità evolutiva” dovuta proprio alla persecuzione del regime fascista che si era radicato nel paese sudamericano. Nel 1974-75 a La Plata numerosi amici di Velasco si erano trasformati in cadaveri pieni di sangue, tra cui un suo caro compagno anarchico. E un’altra persona nascostosi a casa di Julio prima di essere catturato dal regime poliziesco.
Non per caso gli anni Settanta vennero definiti come gli anni della guerriglia, dei desaparecidos. In aggiunta il fratello minore di Velasco Luis scomparse per due mesi, stando a testi da noi analizzato, dopo essere stato prelevato dalle forze militari. L’atmosfera in quei luoghi era davvero surreale: continui colpi di stato (quello del ’76 il più feroce), ci si svegliava all’alba e all’improvviso si sentiva la musica militare alla radio. Emblema di quel regime dittatoriale era Videla.
Momenti che ancora oggi Velasco ricorda drammaticamente, anche tramite pagine di quotidiani – più o meno recenti – che abbiamo avuto modo di rintracciare. Tra le vicissitudini segnalate torture, sparatorie, fucilazioni, eliminazioni fisiche e in particolar modo l’episodio di un amico che diede a Velasco la notizia che suo fratello era stato preso. Aveva poco più di 20 anni, studiava a medicina. Anche Julio Velasco venne preso dal regime durante alcune manifestazioni. Venne picchiato, ma per fortuna riuscì a scamparsela, altrimenti non sarebbe potuto diventare il grande personaggio che è oggi.
JULIO VELASCO TRA DESAPARECIDOS, VIOLENZE, PAURE E LIBERTA’ DA CONQUISTARE Certamente, nella peggiore delle ipotesi, Velasco avrebbe potuto alimentare la lunga lista degli scomparsi. I cosiddetti desaparecidos, in tempi di dittatura targata Videla (o più esattamente dal 1976 al 1983), venivano quantificati in più di 30.000 unità, con oltre 500 neonati appropriati. In data 24 marzo 1976, nella città di Buenos Aires, il governo di Isabelita Perón viene destituito da un golpe militare comandato dal violento generale Jorge Rafael Videla. È l’inizio della storia della dittatura civico-militare in Argentina.
La dittatura vigente targata Videla e la pressione continua del controllo di polizia obbligarono, dunque, Julio Velasco (che intanto aveva perso il padre e visto il fratello più grande, militante di sinistra, fuggire in Spagna) a lasciare La Plata per insediarsi a Buenos Aires. Una località-rifugio in cui era molto più semplice nascondersi e dove presto Velasco iniziò un’altra vita. Dalla filosofia alla pura attività lavorativa di allenatore intesa anche come impronta educativa. Con la Ferrocarril Oeste insegna volley ai giovani e presto vince 4 campionati consecutivi dal 1979 al 1982.
Agli inizi degli anni Ottanta è vice-manager della squadra nazionale maschile argentina, con cui vince la medaglia di bronzo ai mondiali. Come riporta un articolo di Repubblica risalente all’aprile 1995, negli anni del Ferrocaril Oeste Velasco conobbe un grande amico, Daniel Alfredo Tarando. Egli nella metà degli anni Ottanta fu Entrenador Jefe del Equipo Superior Masculino de Serie A con la “Libertas San Cristóforo Catania” in Sicilia. Militò inoltre come manager anche sulla stessa società di Velasco, la Ferrocaril Oeste.
“Ricordo le nottate interminabili quando, giovani e squattrinati, facevamo le ore piccole nel bar del club, l’unico che ci facesse credito”, si legge sul pezzo che abbiamo rintracciato di 26 anni fa. “Chiacchiere infinite su pallavolo, politica e dirigenti. Ascoltare Julio è sempre stato un piacere. E’ intelligentissimo, è nato per fare l’allenatore. Quando, guardando un ragazzino, diceva: quello lì non arriverà a niente. Oppure, quello ha la stoffa da campione, ci azzeccava sempre. In Italia, adesso, lui è Gardel”.
LE MADRI DI PLAZA DE MAYO E I MONDIALI ’78 IN ARGENTINA La presa del potere da parte della troupe militare del generale Jorge Rafael Videla e l’applicazione più estrema del concetto di terrorismo, incentrato sulla detenzione in luoghi segreti, repressioni, ebbero ripercussioni significative nei vari campi della quotidianità politica. E anche nel sociale del popolo argentino, andando a creare “polveroni” e stravolgimenti nell’organizzazione del campionato mondiale di calcio. Campionato disputato in Argentina nel 1978 e vinto dalla nazionale di casa il 25 giugno di oltre 42 anni fa. Un mondiale divenuto simbolo di torture, di desaparecidos.
Un mondiale visto come strumento di oppressione, di occultamento della realtà, di doping, di propaganda politica, finalizzato anche a far dimenticare al pianeta globale le Madri di Plaza de Mayo. Si tratta delle madri dei figli scomparsi che ogni giovedì marciavano nella piazza centrale di Buenos Aires con un cartello o un fazzoletto bianco con l’immagine o nome del desaparecido.
Quelle madri che si recavano costantemente al ministero competente per chiedere notizie riguardo ai propri figli ma alle quali veniva risposto con un irrisorio “Saranno scappati di casa”. I nomi dei loro figli non compariranno più in nessun registro.
Insomma, la repressione colpiva con “anonimi” e inaspettati sequestri specie notturni, senza alcuna pietà o distinzione, versando enorme violenza verso tutti coloro che non erano allineati al “regime del crimine”. Si partiva dalle organizzazioni di sinistra e dai peronisti fino ad arrivare a movimenti sindacali e studenteschi.
Con i mondiali di calcio, la cui spesa per l’organizzazione da parte di Videla veniva stimata in oltre 500 milioni di dollari, il collettivo militare argentino finì per rafforzare il proprio autoritarismo. Il tutto esaltando ancora di più il valore del nazionalismo. In un estratto del volume cartaceo “Pallone desaparecido. L’Argentina dei Generali e il Mondiale del 1978”, firmato Alec Cordolcini, vengono enfatizzate le peculiarità della nazione argentina, alle prese con movimenti populistici alternati ad azioni armate.
Si rifletta anche sul fatto che, di fronte alla spesa ingente da sostenere per l’organizzazione della massima competizione internazionale, l’ex Generale Omar Actis (contrariato) venne ucciso senza pietà. Il suo cadavere venne ritrovato all’interno della propria auto, crivellato di colpi. L’ennesimo atto di crudeltà, l’ennesima violazione dei diritti umani.
VELASCO SCESE IN STRADA A FESTEGGIARE MA… E a proposito di vittoria del mondiale 1978, Julio Velasco e sua moglie quella sera scesero in strada a festeggiare lo straordinario successo, ma solo per pochissimi istanti. Le persone venivano torturate in loco, ammazzate con inaccettabili gesti pieni di crudeltà, orrore, odio. Quello che non vorremmo mai vedere al giorno d’oggi E Julio Velasco, oggi più che mai, rappresenta un esempio morale, civile e non soltanto sportivo.
Un personaggio coraggioso, che è riuscito a diventare uno dei manager più vincenti della storia internazionale. Andato via di casa a poco più di 18 anni con una grande paura di essere deportato e mantenendosi inizialmente con le proprie forze. “La libertà è giusta ma va conquistata”, non lo ha mai nascosto Julio Velasco.
Coraggio, esaltazione dei principi di libertà, ingegno, carisma, moralità, generosità esaltano a nostro modo di vedere la personalità di Julio Velasco, elementi che si inizieranno a intravedere sin da subito in Sicilia, terra del debutto in campionato del grande Julio in Italia alla corte di Jesi.
1983, L’ANNO DELL’EMIGRAZIONE DI UN LEADER CHIAMATO JULIO VELASCO Dall’Argentina, regime di colonnelli e ritenuta originariamente terra di immigrati, Velasco emigrò in Europa nell’anno 1983. Esattamente in Italia, a Jesi, come primo allenatore della Tre Valli Volley in serie a2. L’emigrazione in Europa, a quell’epoca per il popolo argentino, suonava come pura realizzazione di un’utopia. Julio Velasco arrivò nella zona della Vallesina (Jesi) dall’altra parte del mondo, sbarcando in aeroporto senza bagaglio. E portando con sé poco più dei vestiti che aveva addosso. Capello con frangetta spostata a destra, mani in tasca durante le prime foto di rito.
Abbiamo a tal punto il piacere di riportare alcuni momenti salienti raccontati dalla Gent.ma Signora Anna Virginia Vincenzoni Casoni. Si tratta della moglie dell’indimenticato patron della società jesina di A2 Sandrino Casoni (stagione 1983-84). “Velasco per il primo mese rimase a casa nostra, dove mangiava e dormiva, innamorandosi della cucina italiana, in particolar modo delle tagliatelle di mia suocera. Voleva con forza far arrivare in Italia anche quella che allora era sua moglie, Nora, e le sue figlie, Lucrezia e Veronica.
Quando arrivarono si trasferirono prima in una casa a Pianello, sopra una farmacia, poi in un appartamento a Jesi. A Jesi la sua vita era interamente dedicata alla pallavolo e alla palestra. Aveva vissuto forte esperienze personali in Argentina, in un periodo di dittatura.
Ma ora Julio viveva di quello e per quello, parlava di pallavolo e di giocatori, visionava numerose cassette, studiava e analizzava nel dettaglio gli allenamenti e gli avversari. Non credo facesse molta vita mondana all’infuori di questo. Ma rammento anche del suo personaggio che mi colpirono certe sue attenzioni ed eleganze nel comportamento e nell’atteggiamento, ad esempio nei confronti della moglie. E rimembro ancora una vacanza ad Ortisei, delle nostre due famiglie insieme, nella stagione estiva 1984”.
Un club blasonato all’epoca, quello jesino, che sarebbe potuto diventare la Lube Civitanova dei giorni d’oggi. Nella stagione 1983-84, infatti, con l’arrivo di Julio Velasco, a Jesi (An) stava nascendo davvero qualcosa di straordinario. Ce lo ha confessato Beppe Cormio, attuale DG Lube Civitanova ex campione del mondo e scopritore con Sandrino Casoni, allora Presidente jesino, di Velasco.
In questa stagione il collettivo di Julio Velasco, da matricola assoluta nel secondo campionato nazionale, si piazzò al secondo posto in classifica dopo aver conquistato un lungo primato di imbattibilità durante la prima fase della regular season.
Ma anche nei momenti più delicati di tale stagione Julio Velasco riuscì ad esprimere al meglio tutta la sua mentalità e motivazione, senza “prendere troppo sul serio” la probabilità e la matematica. “Nei momenti più difficili devo pensare alla strada da seguire per poter vincere, dunque non ho tempo di considerare la possibilità di perdere”. Nella stagione successiva (84/85), la seconda e ultima di Velasco a Jesi prima di passare a Modena, i leoncelli si classificarono quarti al termine di una stagione condotta a buoni ritmi.
Il primo anno italiano di Julio Velasco? Nel suo primo anno italiano, a Jesi nel 1983, Velasco guadagnava qualcosa come 500 euro al mese. “Velasco arrivò a Jesi dando l’impressione di essere uno che poteva fare molta carriera”, ci ha raccontato il manager jesino Beppe Cormio. “Julio era un soggetto intelligente e caparbio, che è riuscito negli anni a fare la storia dello sport mondiale.
Un aneddoto particolare che possiamo segnalare è che nella stagione 1983-84 uno ‘spaesato’ Julio Velasco riuscì a demolire un’auto societaria, nella zona di Fabriano, mentre si stava recando a Roma da un suo conoscente. La guida non era certamente il suo forte”.
La trasferta del 15 ottobre 1983 a Catania, terra molto difficile allora, segnò il debutto ufficiale di Julio Velasco nella panchina del Tre Valli, nel campionato di A2. Martedì 4 ottobre 1983, alle ore 18, l’amministrazione comunale ricevette le squadre di pallavolo Tre Valli Volley e Vasas Budapest. Alle ore 21 dello stesso giorno le due squadre disputarono alla Carbonari un’interessante amichevole vinta per 3 a 2 da Velasco.
Di certo a portare buoni frutti dal punto di vista fisico e tecnico c’erano l’attrezzata palestra Body Line, in cui coach Velasco portava i suoi tre volte alla settimana stravolgendo le attività di routine, e il caloroso parquet della Palestra Carbonari. “Sono venuto qui, a Jesi, per fare grandi cose“, affermò Julio Velasco nelle prime interviste rilasciate a Jesi, che ancora oggi custodiamo gelosamente. “Per questo motivo sto lavorando sulla testa dei ragazzi, svolgendo una preparazione fisica molto impegnativa“.
“Credo che per il debutto in campionato del 15 ottobre a Catania saremo in perfetta forma. L’unica incognita potrà nascere dall’inesperienza di alcuni giovani, ma in linea di massima sono fiducioso anche per i più piccoli, che saranno chiamati a rispondere al meglio alle mie sollecitazioni”.
Coach Velasco aveva rivoluzionato in lungo e in largo i metodi di allenamento – valutando parametri del tutto innovativi come passi e movimenti “stile tango argentino”. Il tutto andando oltre la solita razione di esercizi ginnici alternati al lavoro con la palla per il perfezionamento della tecnica individuale.
“Spettatore costante e motivatore aggiunto – si legge in un estratto del libro Happy Hour da Fuoriclasse al Bartocci scritto nel 2021 dal giornalista Daniele Bartocci – delle varie sessioni di allenamento lo staff dirigenziale del Volley Jesi, non soltanto Beppe Cormio. “Anche l’indimenticabile patron Sandrino Casoni, bensì il ragionier Conti, Cesare Guidi e l’intero staff tecnico”. Tutti avevano creduto fortemente sulle doti umani e intellettuali di Julio Velasco, portandolo a Jesi dall’Argentina.
L’attesa e la trepidazione crescevano giorno dopo giorno: era sempre più vicino l’esordio da matricola nel campionato di serie A2 (il secondo campionato nazionale) in programma il 15 ottobre 1983 a Catania contro una squadra molto attrezzata a livello di organico. E non per caso scudettata. I siciliani infatti si fregiarono del titolo di Campione d’Italia al termine della stagione sportiva 1977-78.
Nell’ultimo allenamento prima di volare in Sicilia, coach Julio Velasco aveva insistito sugli schemi offensivi con i sei uomini scelti come titolari ovvero Giannini, Kantor, Esposto, Petrelli, Wagenpfeil e Fanesi, lavorando sulla concentrazione e sulla forza mentale dei singoli. Il piano di Prof. Julio Velasco, implementato alla vigilia della trasferta siciliana, si rivelò vincente e caratterizzato da un pragmatismo strategico. La Tre Valli ottenne una vittoria in uno dei campi più ostici del campionato al termine di 3 parziali. 10-15, 7-15 e 11-15.
“Una grande vittoria fatta di passione, concentrazione e grande determinazione, in attesa dell’esordio tra le mura amiche di Julio Velasco il sabato successivo contro l’Accademia Roma”. Le rassegne stampa d’epoca a nostra disposizione elogiarono la prova tattica dei ragazzi di Velasco e la maturità mostrata dal tecnico al suo debutto nel nostro paese. Una nota di colore meritevole di essere segnalata è che la società catanese non mise a disposizione degli jesini né il palas né altra struttura sportiva per far disputare l’allenamento mattutino di rifinitura come richiesto da Velasco, coadiuvato dal vice-coach Alberto Santoni.
SOTTO IL SOLE DEI GIARDINI DI CATANIA: UNA SOSTA INDIMENTICABILE Il tecnico argentino portò a tal punto il suo collettivo ai giardini di Catania, considerata la splendida giornata di sole. Lì venne effettuata una normale seduta atletica. Ciò a dimostrazione della professionalità e della serietà con cui Velasco svolgeva il suo lavoro. Anche in occasione della gara di San Giuseppe Vesuviano, la squadra jesina (che dormiva a Caserta) non ricevette strutture sportive adeguate per poter effettuare l’allenamento.
Cosa si inventò in questo caso Julio Velasco? Dopo la colazione del mattino, il tecnico argentino portò ad allenare la sua squadra all’interno della sala da pranzo dell’albergo. Giocatori e staff furono chiamati a spostare in fretta i tavoli della sala. Fu una seduta di allenamento faticosa ma soprattutto alternativa e all’insegna del “superamento degli ostacoli”.
Focalizziamoci ora su un particolare aneddoto, a nostro avviso molto piacevole e interessante. Durante il “magico” weekend catanese, nel pre-partita del sabato, Julio Velasco intorno a mezzanotte ‘’obbligò’’ alcuni suoi collaboratori ad andare a fare un giro per la città di Catania. Una città in cui, in prossimità del palazzetto, era appeso uno striscione (almeno così ci viene riportato) con la scritta “Abbasso gli italiani”.
Più che di leadership, in questo caso, si sarebbe tranquillamente potuto parlare di capacità da Influencer, figura-professione molto in voga nei giorni d’oggi, sorta all’interno dei nuovi modelli di comunicazione online.
Il direttore dell’hotel, posto in Via Etnea (nel centro della città), in cui alloggiava la squadra jesina, disse loro che uscire dopo cena, soprattutto a quell’ora e in una città complicata come Catania, era pericolosissimo. Velasco si fidò delle proprie idee e spronò alcuni collaboratori ad andare. Ciò sostenendo che loro avrebbero potuto visitare la città catanese altre mille volte mentre per lui quella era la prima e magari l’ultima volta.
“Io voglio uscire a mezzanotte, magari l’anno prossimo tornerò in Argentina e non vedrò mai più città italiane come Catania. Vi dico che possiamo andare. Andiamo!”, ribadì Velasco durante il pre-partita ad alcuni membri dell’équipe jesina. Abbiamo voluto citare questo particolare “siparietto” dell’annata 1983. A nostro avviso risulta molto utile enfatizzare la convinzione e determinazione di Julio Velasco nell’effettuazione delle scelte, nell’affrontare una situazione delicata.